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BARI – 8 dicembre 1999 Galleria Unione | a cura di Toti Carpentieri

MESSAGGI DA UN MITICO FUTURO
Tra arte e cultura oltre i limiti della sequenza

Sul reperto affiorante da una sorta di magma cromatico solcato da tracciati, apparentemente casuali, alcune presenze vagamente metalliche attirano la nostra attenzione, per il riflettersi di raggi luminosi e per una sorta di indecifrabili e criptici messaggi talvolta letterari tal altra disposti in evidenti sequenze numeriche.(..) E così dalle piramidi e dai quadrati ( questi ultimi aventi 55, 34, 21, 13, 8, 5, 3 centimetri di lato) di Arianna Spizzico, con la mente voliamo nello spazio e nel tempo.(..) Ma poi cos’è il tempo? E cos’è lo spazio? E’ chiaro che l’uno e l’altro alla fine, risultano essere delle semplici convenzioni su cui dislocare gli atti del fare e le proiezioni dell’intelletto, in quell’alternarsi di trama e ordito che costituisce la texture del vivere: quello personale dell’individuo e quello della società cui si appartiene costituendola.

Ma il tempo e lo spazio sono rappresentabili? E in quale maniera? William Blake, raffinato artista inglese in cui il dato sensibile figurale si trasforma in visione profetica, identificava il maschile con il tempo ed il femminile con lo spazio, precisando altresì come dalla loro compenetrazione potessero scaturire gli eventi, anche quelli particolari e complessi.(..)

Così, il trovarsi di fronte alle sue opere più recenti, quelle di questa mostra di fine millennio, evidenzia il riattualizzarsi del procedimento della conoscenza e della comunicazione esercitato dalla giovane artista, consentendole di attingere all’immenso patrimonio di immagini esistenti nella nostra memoria e di elaborarle secondo rinnovate modalità di “dialogo” in adesione a quello che può definirsi il “senso” primigenio della scrittura.(..)

E’ proprio della contemporaneità dell’arte, infatti, e ben oltre qualsivoglia modalità d’ordine naturalistico, il prendere coscienza dell’impossibilità di determinare la ricerca (ovviamente artistica) sulle regole che caratterizzano il comune senso visivo, individuando così la necessità di attivare altri sistemi di segni, critici ed innovativi, fondati su una propria autonomia strutturale. Significando che non vi è più corrispondenza tra oggetto artistico e soggetto di natura, in quanto anche quando si insiste nella rappresentazione, viene a mancare quella coincidenza in verità soltanto ipotetica.(..) Arianna Spizzico attinge per la declinazione di questo suo nuovo momento espositivo che vede nella centralità dell’uomo, l’alfa di una visualità estetica che si attualizza nella realtà di una mostra che si costruisce ancora una volta nella osmotica direzione del mito e della scienza.

Ci riferiamo alla sequenza, solo apparentemente oscura, di quel tal Leonardo Pisano detto Fibonacci, che ben oltre la sua formulazione matematica detta sezione aurea ( due volte l’uno e quindi una progressione infinita di numeri ognuno dei quali,dopo il secondo, è la somma dei due precedenti) si concretizza nella successione 1, 1 , 2, 3, 5, 8 ,13, 21, 34, 55…che risulta essere la linea progettuale e costitutiva di questa mostra.

E così dalla iterattività della medesima figura umana altamente simbolica e moltiplicata per quattro (tante quanto “le radici di tutte le cose” a cui faceva riferimento Empedocle: ovvero la terra, l’acqua, l’aria e il fuoco) identificata nella centralità di quel quadrato costruito/ dipinto di 55 centimetri di lato ci si sposta specularmente dall’una e dall’altra parte approdando al lato di 34 centimetri e quindi a quello di 21 e poi al 13 e all’otto, e ancora al 5 e al 3.(..)

Nella singolarità delle opere e nel loro susseguirsi e riflettersi, non esiste più la relazione esistente tra segno e cosa ma quella tra segno e segno secondo un piano rigorosamente linguistico nel quale la successione delle interpretazioni è costituita al tempo medesimo da simboli verbali e da figure. Confermando che la comunicazione sia un procedimento mentale.(..) Le presenze metalliche e materiche delle opere sembrano così sottoporsi ad una sorta di fermentazione al tempo medesimo fenomeno fisico e chimico, ma anche modalità linguistica che, in una sorta di trasmutazione/ossidazione, consente agli oggetti ( quelli riconoscibili-gusci, diodi e circuiti integrati e quelli finanche misterici- frammenti, schegge, rottami-) e alla globalità della costruzione – quell’essere affondati nella cromaticità magmatica della materia pittorica- di acquisire lo status di opera d’arte.

Le scie luminescenti che attraversano la simbologia spaziale della piramide – quel moltiplicarsi della triangolarità ed il conseguente rimando alla significazione religiosa e pagana del numero tre – ci conducono sino al guscio di una conchiglia(..).Ancora una volta tra memoria e suggestione, in un recupero metaforico del passato ben oltre ogni valore feticista, ma nella capacità consolidata di stabilire una interconnessione tra il presente ed il futuro.

Toti Carpentieri